Nessuna impresa è un'isola
11/11/2019 Autore: Chiara Zaccariotto
Mentre si diffonde e aumenta l’impegno nelle politiche di sostenibilità, le imprese devono fare i conti non solo con gli impatti immediati delle manifestazioni meteorologiche, ma anche con la necessità di rivedere radicalmente i propri processi produttivi. Il tema al centro di una tavola rotonda organizzata da ANRA
Gli effetti dei cambiamenti climatici, a lungo discussi, sono oggi concretamente visibili e misurabili e tutte le imprese, in qualsiasi parte del mondo operino e a qualunque settore di business appartengano, devono farci i conti. Aumentano infatti le imposizioni normative e le pressioni da parte di società e governi per una conversione ad una produzione che rispetti maggiormente il nostro ecosistema. Parafrasando il poeta inglese John Donne “Nessuna impresa è un’isola”, e se le manifestazioni meteorologiche impattano in misura più evidente su alcuni settori (come quello dei trasporti e della logistica, ad esempio, dell’energia o dell’agroalimentare) e su alcune aree geografiche, nessuna è immune dal momento che operano, tutte, in un unico mercato globale e interconnesso. E’ stato questo l’argomento al centro di una delle tavole rotonde del 20° Convegno ANRA, tenutosi il 3 ottobre scorso a Milano presso l’Auditorium Assolombarda. Moderato da Paola Radaelli, Vice Presidente dell’Associazione e Consulente ERM di Strategica Group, il panel ha messo ha messo a confronto due diverse realtà imprenditoriali e una rappresentante del mondo scientifico.
E’ Serena Giacomin, Meteorologa del Centro Epson Meteo e Presidente dell’Italian Climate Network, a sottolineare come l’emergenza climatica non sia più un rischio emergente, perché si manifesta già da anni. Sono innumerevoli, e non ignorabili, i dati scientifici a supporto. Solo per ricordarne alcuni, il 2018 è stato l’anno più caldo di sempre in Italia (il quarto a livello mondiale) e nella classifica dei dieci anni con le temperature più elevate di sempre compaiono solo quelli dopo il 2000 (con l’eccezione del 1998); dal 1980 a oggi si è registrato un aumento del 400% di alluvioni e precipitazioni intense e del 200% di fenomeni di ondate di calore o siccità. “Il clima è sempre cambiato, questo è vero, ma non è mai cambiato così rapidamente” spiega Giacomin “La comunità scientifica è concorde nel riconoscerne la causa antropica. E forse, se vent’anni fa avessimo fatto gli sforzi che stiamo facendo attualmente, oggi non ci troveremmo in una situazione tanto critica e alcune gravità nella gestione delle imprese forse non si riscontrerebbero”. Che i cambiamenti climatici abbiano un impatto sull’economia reale è infatti certo: “Negli ultimi vent’anni” continua Giacomin “le perdite legate agli eventi meteorologici estremi sono aumentate del 151%, raggiungendo nel 2017 la cifra record di 306 miliardi di dollari. Continuare senza un cambiamento di mentalità non porterà ad un miglioramento della situazione. Le parole chiave oggi, che devono entrare immediatamente nelle agende di tutti le forze governative, sono mitigazione e adattamento”.
“Se siamo qui oggi è grazie ai processi di industrializzazione, eppure è proprio questa evoluzione, nata con enormi opportunità, che ci sta ponendo di fronte scenari sempre più sfidanti” riflette Giorgio Buzzi, Vice Presidente del Gruppo Lucefin, holding industriale del settore siderurgico specializzata nella lavorazione dell’acciaio. Quella siderurgica è proprio una delle aree maggiormente interessate dalle normative messe in campo dalla Comunità Europea per fronteggiare i cambiamenti climatici, che richiedono alle imprese un percorso di riconversione non semplice e rischiano di avere effetti a catena sul tessuto economico e sociale dell’intero paese. “Uno dei vincoli, ad esempio” spiega Buzzi “è quello che pone per le produzioni un tetto massimo di emissioni di CO2 del 55%. Il problema è che non esiste ancora sul mercato una tecnologia che consenta di arrivare a questo risultato. Nel frattempo, mentre Italia e Europa si impegnano per essere virtuose, paesi come gli USA, la Cina e l’India disattendono gli accordi internazionali e continuano ad aumentare le produzioni. Riconosco che sia assolutamente fondamentale convertire le imprese ad una produzione più green, ma dobbiamo allo stesso tempo stare attenti a come queste imposizioni possono svantaggiarci sul mercato internazionale. Rischiamo di restare fuori dal mercato, di provocare ricadute pesanti a livello economico e di conseguenza sociale”.
Un equilibrio certamente non semplice da trovare. Fabrizio Tucci, Chief Risk Officer del Gruppo Iren, similmente opera in un settore in cui gli impatti dei cambiamenti climatici si fanno sentire su molteplici fronti. “Nella catena delle multiutility sono presenti stakeholder come i territori, i governi, la popolazione, le imprese: la nostra produttività impatta sull’intera società. E’ una grande responsabilità: dover riconvertire le proprie attività, per gestire al meglio risorse preziose come acqua ed energia, ma garantire sempre lo stesso livello di efficienza”. Altro aspetto delicato per questo settore è la componente impiantistica: il gran numero di impianti sparsi sul territorio aumenta l’esposizione ai rischi catastrofali, e ognuno di questi impianti può essere critico per gli utenti che serve. In questo scenario, il Risk Manager ricopre un ruolo cruciale: “Dobbiamo uscire dalla logica del cigno nero e capire che il cambiamento climatico non è più un rischio emergente né sporadico. E’ fondamentale un’attività di Risk Assessment molto precisa, puntuale, differenziata a seconda delle risorse e dettagliata, che tenga conto di tutti gli elementi. Inoltre, dobbiamo cercare alleati all’interno delle imprese, ad esempio in chi si occupa di Corporate Social Responsibility, di finanza green, di relazioni con gli investitori. Serve un gioco di squadra”.