Rischio reputazionale: non si fa abbastanza

22/02/2021 Autore: Maria Moro

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Una ricerca di Willis Towers Watson indaga sulla percezione del reputational risk da parte dei gestori del rischio e sugli strumenti a loro disposizione per fronteggiare una minaccia sfuggente e in crescita.

Consumatori sempre più esigenti, normative più complesse e in crescita, una diversa sensibilità ai temi della sostenibilità (ad ampio raggio) e ai trend culturali, ampliano lo spettro delle tematiche a cui le imprese devono fare attenzione per salvaguardare la propria reputazione. Il rischio reputazionale è oggi molto più prossimo alla quotidianità delle aziende e molto più gravi possono essere le conseguenze di messaggi negativi che riguardano l’impresa, siano essi pretestuosi o conseguenza di comportamenti dell’organizzazione che per differenti ragioni possono non essere in linea con le attese del mercato.
Una delle ragioni per cui si è accresciuto il rischio reputazionale riguarda il crescente, pervasivo e non controllato utilizzo delle piattaforme digitali di comunicazione, grandi “ambienti” dedicati al confronto ma che possono essere utilizzati per danneggiare volontariamente persone e aziende utilizzando argomenti più o meno fondati. Purtroppo, per una persona che esprime il proprio dissenso pubblicamente ce ne sono altre dieci che la pensano allo stesso modo ma non si esprimono apertamente, diffondendo comunque la propria opinione in cerchie più ristrette di interlocutori. Complici le nuove tecnologie, un’opinione negativa può crescere rapidamente e influenzare l’immagine di un’azienda in poco tempo fino a creare un danno difficilmente arginabile nel breve.
Rientra quindi nelle aree di interesse della gestione del rischio “ascoltare” quanto viene detto attorno all’azienda e correggere in tempo eventuali storture, in modo da mantenere il valore di questo asset intangibile.
Per indagare su come le aziende gestiscono il rischio reputazionale, Willis Towers Watson ha intervistato 200 risk manager e responsabili aziendali di alcune grandi aziende di diversi settori e mercati a livello globale (Global Reputational Risk Management Survey Report).

 
Un problema che crescerà nei prossimi anni
La conclusione a cui giunge WTW è che le aziende abbiano una consapevolezza elevata delle minacce e delle sfide per controllare il problema, ma che le soluzioni (tecnologiche e assicurative) disponibili per i risk manager siano ancora carenti. A fronte di un 76% dei risk manager che afferma che il proprio top management è fortemente coinvolto sul tema, risultano invece carenti gli strumenti necessari ad un controllo preventivo ed efficace.
Il 79,5% dei risk manager intervistati ritiene che nei prossimi cinque anni ci sarà più attenzione al rischio reputazionale rispetto ad oggi, il 19,5% ritiene che l’attenzione rimarrà invariata e solo l’1% pensa sarà in calo.
Secondo gli intervistati, i principali rischi correlati a un danno reputazionale riguardano i risultati commerciali, con la perdita di reddito e di clienti (lo afferma l’86% degli intervistati), ma l’impatto però può rivelarsi sensibile anche per la qualità dell’attività aziendale in genere e per i rapporti con i portatori di interesse esterne, con possibili problemi di retention dei talenti (61,5%) e di reclutamento (56,5%), perdita di licenze e di beneficio del dubbio in caso di difficolta (entrambi al 36,5%), una maggiore regolamentazione del settore (34,5%), minore attivismo degli investitori (33%), impatti sulla supply chain (29,5%), riduzione del punteggio ESG e politiche pubbliche più sfavorevoli (27% in entrambi i casi).

Mancano gli strumenti adatti
Il rischio reputazionale si rivela quindi come molto sfuggente ma altrettanto impattante per l’operatività e le strategie aziendali. I manager che si trovano a doverlo gestire, in particolare nelle aree Marketing, Comunicazione e Risorse Umane, scontano in primo luogo il fatto che il rischio reputazionale non è misurabile come gli altri attraverso l’analisi e il monitoraggio dei dati se non in minima parte. Il 59,5% dei risk manager intervistati da WTW ritiene di non avere gli strumenti e il supporto necessari per gestire efficacemente il rischio reputazionale, è sentito anche il problema delle competenze del personale aziendale (51%) e la mancanza di consenso sul problema da parte dell’azienda (42%); altre sfide per i manager nella gestione del rischio reputazionale sono la mancanza di personale (34%), la carenza di dati affidabili (21%) e la mancanza di una metodologia definita (7,5%).

La tecnologia rende in realtà possibile attivare strumenti di monitoraggio dei contenuti della rete che possono essere collegati al nome della società, così da avere un controllo maggiore su quanti viene espresso e per intercettare il cambiamento delle opinioni di tutti i propri stakeholder. Utilizzare sistemi di reputation intelligence presenta il vantaggio di poter predisporre in tempo una reazione e correggere il tiro delle opinioni negative prima che l’immagine sia inevitabilmente danneggiata. Le reazioni a un primo livello sono certamente di comunicazione, ma monitorare i contenuti del mondo digitale permette anche di ragionare per tempo su eventuali cambiamenti di rotta nei modelli o nelle strategie aziendali.
Dall’inchiesta di WTW emerge che comunque ancora oggi il 44% dei manager intervistati dichiara l’assenza di simili strumenti in azienda o di non essere a conoscenza di strumenti di reputation intelligence disponibili.
La conclusione a cui giunge Willis Towers Watson è che in generale gli strumenti, le metodologie e i prodotti assicurativi disponibili a tutela della reputazione aziendale non sono più adeguati ai rischi del contesto digitale in cui operano le imprese.