Cautela per la ripresa italiana

09/06/2021 Autore: redazione ANRA

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Un’indagine svolta da Censis per AIBE prevede gli investimenti esteri stabili nel nostro paese. Uno sguardo alla ripresa mondiale mette in luce il rischio di contrasti commerciali e incertezza sulla globalizzazione.

Le prospettive degli investimenti esteri in Italia per il triennio 2021-2023 sono stabili, considerando sia il calo dei flussi d’investimento dall’estero che si era verificato già nel 2019, dopo alcuni anni di crescita, sia la situazione critica del 2020. È quanto emerge dall’Instant survey di primavera realizzata dal Censis per l’Aibe (Associazione Italiana delle Banche Estere) a partire dalle opinioni di un panel di esperti internazionali. 

Per quanto riguarda gli investimenti greenfield o brownfield, il 38,8% converge su un outlook di continuità con il passato, il 35,2% traccia uno scenario positivo, il 25,9% prefigura una tendenza negativa. Per le operazioni di fusione e acquisizione, il 45,5% indica prospettive di stabilità, il 45,5% un trend positivo, per il 9% è atteso un peggioramento. 

La classifica dei primi 10 Paesi stilata in base alle potenzialità di ripresa economica dopo la crisi del 2020 vede sul podio Cina, Stati Uniti e Germania, seguiti da Regno Unito, Giappone e Francia. Nella graduatoria l’Italia occupa solo l’8ª posizione (su 10), dopo gli altri grandi partner europei e anche dopo la Russia, alla quale vengono riconosciute maggiori chances di ripartenza. Nelle ultime due posizioni figurano l’India e il Brasile, penalizzati dalla difficile gestione della pandemia ancora in corso, che prolunga in modo imprevedibile la fase di incertezza.

Le minacce della ripartenza secondo gli esperti

Gli esperti interpellati da Censis hanno espresso i loro timori rispetto alle tendenze che si manifesteranno con la ripartenza, tra i quali si evidenziano i temi dei rapporti politico – economici globali e al peso del debito pubblico.
A livello globale viene segnalata la tendenza dei Paesi a cercare una maggiore autosufficienza nella produzione di alcuni beni e servizi ritenuti strategici: una tendenza molto o abbastanza probabile secondo il 91% del panel. Al secondo posto, preoccupano le difficoltà che i Paesi incontreranno nella gestione di debiti pubblici crescenti, dopo le forti pressioni sulla spesa imposte dalla necessità di contrastare la crisi legata all’emergenza sanitaria (82%). Il 77% segnala il rischio di guerre commerciali tra le grandi aree economiche del mondo (Usa, Cina e Unione europea). Il 73% indica il pericolo di una riduzione della libertà economica, a causa di una maggiore presenza dello Stato nell’economia per presidiare le reti e le produzioni strategiche, e contenere così le vulnerabilità di sistema messe a nudo dall’emergenza sanitaria. Le politiche di deficit spending, cui gli Stati sono stati costretti per contrastare l’impatto economico della pandemia, causeranno un’alta inflazione, secondo il 71% del panel. I rischi di fragilità dei sistemi bancari, tali da riproporre gli scenari della crisi finanziaria del 2008, sono invece segnalati da un più ridotto 59%. L’ingresso in una fase di deglobalizzazione, con una contrazione degli scambi commerciali a livello globale, è una eventualità ritenuta probabile solo dal 43%.

Pnrr: fiducia ma non troppa

Il panel è stato interrogato anche in merito alle probabilità di successo dell’Italia nel portare a compimento gli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza di qui al 2026: il 65% esprime un grado medio di fiducia, il 28% mostra un basso livello di fiducia e solo l’8% confida pienamente nella sua riuscita finale. 

Data l’ambizione delle riforme e l’ammontare degli investimenti previsti sulla carta, il panel non mostra una completa fiducia. Le opinioni raccolte nella survey, oltre a mettere in luce i fattori di incertezza che persistono a livello mondiale, indicano che la scommessa da vincere per il Recovery plan italiano sarà quella di riuscire a curare i nuovi mali procurati dalla pandemia senza avere ancora sanato le patologie del passato.