Giornata mondiale dell’Ambiente, continua la battaglia alla plastica
05/06/2023 Autore: Giulia Gotelli
Nonostante le normative in vigore a livello europeo e italiano, l'impatto ambientale non accenna a diminuire. Quali i rischi collegati?
Negli ultimi 50 anni, la produzione di plastica è aumentata di oltre 22 volte, con un impatto devastante sull’ecosistema globale e in particolare quello marino, che vede l’ingresso di oltre otto milioni di plastica negli oceani ogni anno.
Un’emergenza che ha portato le Nazioni Unite a dedicare l’edizione 2023 della Giornata mondiale dell’Ambiente, in programma oggi lunedì 5 giugno, proprio alla ricerca di soluzioni per la risoluzione della crisi da produzione massiva di plastica.
Istituita con l’obiettivo di ricordare la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, tenutasi tra il 5 e il 16 giugno 1972 a Stoccolma, la Giornata mondiale dell’ambiente si focalizza ogni anno su una differente tematica volta ad aumentare la consapevolezza globale nel tentativo di trovare una soluzione alle principali emergenze che affliggono il territorio.
E uno dei settori su cui si concentra maggiormente l’attenzione europea, soprattutto con l’arrivo della stagione estiva, è il turismo, in particolar modo se relativo alle aree costiere del Mediterraneo: sono infatti otto su dieci i turisti che ogni anno scelgono di trascorrere le vacanze estive sulla costa, contribuendo a un importante incremento della produzione di materiale plastico di cui sono già responsabili i residenti. Un dato che va a collegarsi in prima battuta all’utilizzo di prodotti monouso da parte di strutture ricettive e ristoranti: nonostante l’entrata in vigore a partire dal 2019 in Europa e dal 14 gennaio 2022 anche in Italia della normativa contro l’utilizzo della plastica monouso, infatti, la problematica non sembra essersi risolta, complice il costo elevato delle alternative compostabili.
Ma oltre a Turismo&Leisure e Imballaggi, sono molti i settori ritenuti responsabili: in un report Ecco del 2020 realizzato in collaborazione con Greenpeace e le Università di Padova e Palermo, infatti, le percentuali più alte di consumo riguardavano Edilizia (12%) e Automotive (7%) a cui, secondo il Parlamento Europeo, nello stesso anno si aggiungeva il settore tessile, proprietario del 35% delle microplastiche primarie rilasciate in mare a causa della produzione a base di fibre sintetiche.
Quali i rischi?
Sottovalutare l’impatto ambientale del proprio business, in un’epoca in cui i rischi maggiormente percepiti, soprattutto a lungo termine, sono legati a cambiamento climatico e ambiente, potrebbe causare non pochi problemi alle imprese responsabili.
Ricordiamo infatti che, secondo l’ultima edizione del Global Risk Report realizzato dal World Economic Forum, la maggioranza dei rispondenti all’indagine hanno collocato nella top ten dei rischi che potrebbero rappresentare una minaccia alla business continuity per il prossimo decennio, i rischi climatici e ambientali, con il quarto posto occupato dalla potenziale perdita della biodiversità e il collasso dell’ecosistema attuale.
Il mancato rispetto dei criteri ESG potrebbe inoltre ripercuotersi sulle aziende con una maggiore immediatezza, provocando danni di natura reputazionale, dove i mezzi di informazione giocano un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione di un’opinione pubblica sempre più attenta alle tematiche ambientali, che potrebbe portare (come vediamo già nell’attualità) a un cambiamento di rotta in favore di imprese e aziende ecosostenibili.
Un altro rischio potenziale, caratterizzato da un più ampio raggio d’azione, è il rischio sociale o sanitario relativo all’ingerimento delle microplastiche presenti negli alimenti e nell’acqua. Secondo uno studio dell’Università di Newcastle pubblicata nel 2019 e ripresa da IlSole24Ore, infatti, ogni essere umano ingerisce in media, ogni settimana, 1.769 particelle di microplastica bevendo acqua, prevedendone la triplicazione nel giro di soli tre anni.
Chiudiamo ricordando infine il rischio legale: nonostante molti fra enti pubblici e organizzazioni internazionali, abbiano infatti promulgato normative di limitazione della produzione del rifiuto plastico, tassandone o addirittura vietandone l’utilizzo, i risultati non sono incoraggianti: secondo l’ultima indagine Beach Litter di Legambiente, pubblicata lo scorso 10 maggio, infatti, su 38 spiagge italiane censite è stata raccolta una media di 961 rifiuti ogni 100 metri, con una percentuale pari al 72,5% di plastica.